a cura di: Marco Bobbio – Direttore U.O.C. f.r. Ospedale Santa Croce, Cuneo
Introduzione
Era il 16 dicembre del 1997 quando il pretore della cittadina pugliese di Maglie decise che la cura Di Bella doveva essere rimborsata dal sistema sanitario nazionale, anche se non era ancora stata sperimentata. La comunità scientifica era divisa, i media martellavano con testimonianze di persone “salvate” dal cancro dal professore emiliano. C’era un’enorme pressione anche sugli oncologi. E allora è accaduto un fatto destinato a produrre conseguenze anche negli anni successivi: ha deciso un magistrato. E’ la storia recente del nostro paese e riguarda casi come quello di Stamina, della legge 40 sulla feconazione, o quello di Eluana: di fronte a leggi scritte male, a questioni bioetiche complesse, ma anche alla scaltrezza di promotori di metodi senza base scientifica, i giudici indossano il camice e stabiliscono chi deve essere curato, magari anche come, e chi no. E spesso sullo stesso caso la vedono in modo diverso tra loro.
Beniamino Deidda, già procuratore generale di Firenze, copriva lo stesso incarico a Trieste quando venne investito del caso Eluana. “Dovevamo garantire l’esecuzione del provvedimento della Cassazione per l’interruzione delle cure – spiega – Abbiamo resistito a vari tentativi della politica di rinviare tutto, alle denunce, qualcuno ci ha accusati di omicidio doloso”. Il ruolo dei magistrati che decidono su questioni bioetiche è particolarmente delicato, perché in questo caso entra in gioco anche la politica.